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Fontana - Vasarely

Due mondi, due culture, due scuole a confronto
Artisti presentati: Enrique Careaga, Hugo Demarco, Ennio Finzi, Horacio Garcia Rossi, Luciano Gaspari, Julio Le Parc, Dario Perez-Flores, Francisco Sobrino, Jesus Rafael Soto, Joël Stein, Victor Vasarely, Yvaral

Inaugurazione 12/07/2014
ore 18.00
Chiusura 19/10/2014
Sede: MACA - Museo Arte Contemporanea Acri, Acri (CS) - Italia

http://www.museomaca.it/index.php?lang=it

Fontana - Vasarely. Due mondi, due culture, due scuole a confronto.

Valmore Zordan, 2014

 

Lucio Fontana nasce in Argentina e si trasferisce una prima volta in Italia fra il 1928 e il 1936 e definitivamente alla fine della seconda guerra mondiale. Victor Vasarely nasce in Ungheria e si trasferisce in Francia a Parigi nel 1930.

La dislocazione geografica delle origini e l’arricchimento della loro cultura di provenienza, determinata dalla contaminazione con la cultura del paese ospite, esercitano una profonda influenza sulle idee dei due grandi interpreti dei mutamenti dell'arte nella metà del XX secolo.

Le nuove scoperte scientifiche, le conseguenti invenzioni tecnologiche e le nuove esplorazioni spaziali del secondo dopo guerra determinano un grande desiderio di cambiamento, un crescente fervore di idee che sfociano in nuove espressioni artistiche rivoluzionarie, in cui scienza ed arte non saranno mai più distinte.

Lucio Fontana e Victor Vasarely interpretano questi radicali cambiamenti tracciando due percorsi molto diversi fra loro ma altrettanto fondativi per la ricerca artistica degli anni a seguire.

La grandezza delle loro idee avrà infatti una profonda influenza su molti giovani artisti, che pur dimostrando la propria originalità esprimono nelle loro opere le idee formative dei due grandi maestri.

Entrambi gli artisti hanno trovato nelle loro radici culturali, seppur lontane fra loro, la forza dirompente di rifiuto delle correnti artistiche all’epoca più seguite e riconosciute e inizialmente punto di riferimento anche per loro in Europa. Per Fontana ciò è rappresentato dall'espressionismo figurativo sfociato poi nello spazialismo, per Vasarely da postcubismo, espressionismo e surrealismo che, una volta abbandonati, sfoceranno nell’optical art.

 

Fontana nasce in Argentina a Rosario di Santa Fe nel 1899 e nel 1928 è a Milano dove entra in contatto con il clima artistico del “Novecento” e dal ‘37 al '39 partecipa al movimento “Corrente”, ma insoddisfatto sperimenta materiali nuovi con spirito di ricerca e provocazione.

Nel 1939 ritorna in Argentina dove rimane fino al 1947. Questo è per lui un periodo di meditazione e ricarica per lo scatto decisivo che lo caratterizzerà nel dopo guerra. Infatti nel 1946 a Buenos Aires è punto di riferimento per un gruppo di giovani che stendono il famoso “Manifesto Blanco”, nel quale si asserisce che: “colore, l'elemento dello spazio, suono, l'elemento del tempo e movimento che si svolge nel tempo e nello spazio, sono le forme fondamentali dell'arte nuova, che contiene le quattro dimensioni dell'esistenza, aggiungendo allo spazio il tempo”. Incita ad un rinnovamento totale in accordo con le nuove scoperte scientifiche e tecnologiche. Si inneggia a quel “espiritu nuevo” di cui si sente un’impellente necessità.

La nuova arte è costituita dal “verificarsi simultaneo” di materia, colore, suono in movimento, che scaturiscono dal subcosciente in quanto “la ragione non crea”.

Tutto questo in contrapposizione dialettica rispetto ad “Arte Concreto Invenciòn” (Buenos Aires 1945) e al movimento “Madi” (1946).

Nel 1947 ritorna in Italia con questo impeto di rinnovamento. L'“Ambiente nero” presentato nel 1949 è proprio l’espressione del suo concetto di immaterialità dell'arte (si tratta di un ambiente a luce nera con forme fluttuanti nello spazio), concetto suggerito dal nuovo mezzo di comunicazione di massa: la televisione.

Dal 1947 al 1952 escono i Manifesti Spaziali nei quali si afferma la supremazia del “gesto creativo” che, al contrario della “materia”, è eterno.

La grande rivoluzione degli Spaziali sta nell'evoluzione del mezzo dell'arte, nell'impiego dei “mezzi nuovi, la radio, la televisione, la luce nera, il radar e tutti quei mezzi che l'intelligenza umana potrà ancora scoprire”. “L'artista spaziale non impone più allo spettatore un tema figurativo, ma lo pone nella condizione di crearselo da sé attraverso la sua fantasia e le emozioni che riceve”.

Fontana afferma inoltre: “quando l'uomo si sarà messo nella testa (…) che lui è niente (…) è puro spirito, non avrà più le ambizioni materiali (…) diventerà come un essere semplice, come un fiore, una pianta, e vivrà solo della sua intelligenza, della bellezza della natura (…). La mia arte è tutta portata su questa purezza, su questa filosofia del niente che non è un niente di distruzione ma un niente di creazione (…) ”. “Il taglio e il buco non è la distruzione del quadro, ma una dimensione al di là del quadro, la libertà di concepire l'arte attraverso qualunque mezzo, attraverso qualunque forma”.

Nel 1949 iniziano le sue tele con i buchi. Tra il '58 e il '60 iniziano i tagli delle tele. Con i buchi e i tagli egli non vuole infierire sulla tela ma vuole dimostrare che essa non è più luogo di rappresentazione ma una realtà su cui operare, per cui l'opera non va più considerata come rappresentazione della realtà ma esse stessa realtà. Il poliedrico lavoro di Fontana sviluppatosi negli anni va comunque sempre considerato in termini di spazio, materia e luce, anche se espressi in modi molto diversi.

Il movimento spaziale, dalla compagine variabile, si presenta come un'aggregazione di singole e forti individualità coagulate intorno al carisma di Fontana. Peverelli infatti così afferma “credo che sia per me che per gli altri la visione dello spazialismo fosse legata ad una sorta di ammirazione e adesione per qualcuno, come Lucio, più vecchio di noi, che sconvolgeva le regole della buona pittura”. Alcune di queste individualità le troviamo come firmatarie dei molti manifesti: Roberto Crippa, Mario Deluigi, Gianni Dova, Enrico Donati, Virgilio Guidi, Cesare Peverelli, Vinicio Vianello. Altre per uno spirito di assoluta indipendenza non risultano come firmatarie, ma vengono riconosciute nel loro operare come aderenti alle idee informative dello spazialismo e chiamate ad esporre nelle mostre storiche del movimento spaziale: Edmondo Bacci, Ennio Finzi, Lucio Gaspari, Bruna Gasparini, Riccardo Licata, Gino Morandis, Saverio Rampin.

Affascinati dalle idee di libertà operativa di Lucio Fontana e influenzati dall'idea rivoluzionaria del rapporto spazio-tempo, ricordiamo anche i fondatori e aderenti alla rivista Azimuth (1959) Piero Manzoni ed Enrico Castellani, e tutte le più importanti personalità del rinnovamento dell'arte del dopo guerra, transitate dallo spazio Azimut (senza h finale).

Dal primo Manifesto dello spazialismo del 1947 a Milano, citiamo “l'arte è eterna, ma non può essere immortale. E' eterna in quanto un suo gesto (…) non può non continuare a permanere nello spirito dell'uomo (…) rimarrà eterno come gesto, ma morirà come materia.” Pertanto non serve materia adatta a fare durare l’opera nel tempo, conta “un atto dello spirito svincolato da ogni materia (…)”.

Il rapporto di collaborazione con le gallerie del Naviglio a Milano e del Cavallino a Venezia, promuove e diffonde queste idee espresse nei molteplici Manifesti e nella “Proposta di un regolamento del movimento spaziale”. Importante anche il “Manifesto del movimento spaziale per la televisione” uscito in occasione di una trasmissione televisiva allestita da Lucio Fontana. Qui si ribadisce che l'opera d'arte deve essere svincolata dalla materia, che attraverso lo spazio può durare nel tempo e che le conquiste della tecnica sono a servizio dell'arte.

 

Victor Vasarely nasce a Pécs in Ungheria nel 1906. Nel 1925 inizia la sua formazione artistica all'accademia privata “Podolini-Volkmann”. Nel 1929 si trasferisce a Budapest al famoso istituto “Mühely”, fondato da Alexander Bornyik sul modello del Bauhaus di Weimar.

Il periodo trascorso al Mühely esercita un forte influsso sullo sviluppo della sua ricerca artistica in quanto gli suggerisce una radicale ridefinizione del ruolo dell'arte e dell'artista nella società, l'uso di tecniche e materiali non tradizionali, la collaborazione con l'industria, l'integrazione fra arte e tecnica e il rifiuto dell'idea romantica dell'artista privo di finalità. Nel 1930 si trasferisce in una Parigi dominata dai surrealisti. Ancora non si conosce l'astrazione geometrica che fa la sua comparsa dopo la seconda guerra mondiale. I suoi lavori di quel periodo mostrano quindi tratti cubisti, espressionisti e surrealisti. Ma Vasarely non è convinto del suo percorso e liquida questo suo periodo come “due anni di smarrimenti”: “fausses routes” (strade sbagliate). Riconosce invece come determinante per il futuro corso della sua opera l'insegnamento di Budapest e l'importanza delle sue radici.

Nel 1947 egli trova un proprio linguaggio geometrico-astratto ispirato inizialmente ad un'intima geometria della natura (ciclo di “Belle-Isle”) e a paesaggi enigmatici suggeriti dalla crepe che il tempo ha impresso sulle piastrelle della stazione metropolitana Denfert (ciclo di “Denfert”). Da queste sue osservazioni naturalistiche nascono opere che si articolano in piani spaziali ambigui e ambivalenti nell'alternanza tra forme e sfondi che impediscono una visione statica costringendo l'occhio ad un incessante movimento. Effetto che si ritrova anche nelle opere del periodo “Gordes-Cristal” dei primi anni '50.

Nel 1955 organizza l'importantissima mostra collettiva “Le Mouvement” che ufficializza l'arte cinetica e in seguito alla quale propone il “Manifesto giallo”. Alla mostra partecipano oltre a Vasarely molti artisti uniti dalla convinzione che “spazio, tempo e movimento” entrino a far parte dell'opera cinetica. In seguito a questo evento è chiamato ad esporre in tutto il mondo entusiasmando molti giovani artisti che si trasferiscono a Parigi, gravitando tra il suo studio e la galleria Denise René. Alcuni di questi, Julio Le Parc, Hugo Demarco, Horacio Garcìa Rossi, François Morellet, Francisco Sobrino, Joël Stein, Yvaral, formano, con configurazioni variabili, prima il gruppo “Motus”, poi il “Centre de Recherche d’art visuel” infine il “GRAV” (Gruppo di Ricerca Arte Visuale), altri tra cui Dario Perez-Flores, Jesus Rafael Soto, Martha Boto e Gregorio Vardanega ed Enrique Careaga sono attivi nell'abbracciare le teorie dell'arte ottico-cinetica e nel condividere la passione per la sperimentazione.

Nel 1959 Vasarely brevetta l' “unité plastique”, unità compositiva formata da un quadrato e da una figura geometrica colorata inscritta al suo interno. Come le lettere dell'alfabeto essa permette di costruire composizioni innumerevoli sulla base di “programmi o partiture” che possono essere eseguite da altri.

La forte personalità, il radicale rifiuto dell'arte del passato, le sue idee innovative che guardano alle ricerche scientifiche sulla percezione visiva, contribuiscono a coagulare intorno a lui l'attenzione di molti giovani artisti in un rapporto concreto e fattivo tra maestro e discepoli. Importante è la sua collaborazione con la galleria parigina Denise René che gli permette di mettere in luce oltre alla sua opera anche i molti artisti che gravitano nel suo studio e che condividono la sua attenzione per le teorie sulla percezione visiva e sul movimento.

In quegli anni cominciano ad essere approfondite le nuove teorie della fisica secondo le quali l’osservazione gioca un ruolo decisivo nell’evento e, come afferma Heisenberg, “la realtà varia a seconda che noi l’osserviamo o no”. La fisica classica presupponeva un mondo stabile, di cui si poteva dare una descrizione oggettiva a prescindere dal punto di vista dell’osservatore, avvallando l’esistenza separata e autonoma di un soggetto osservante e di un oggetto osservato. L’immagine rappresentava, ri-presentava, il mondo così com’era. I numerosi studi sui meccanismi della visione mettono in crisi l’idea di un occhio “innocente”, e con essa l’idea di un oggetto autonomo, libero da qualsiasi vincolo e complicità con l’occhio e con il cervello. Oggetto, immagine ed occhio vanno sempre considerati in relazione, perché nessuno di questi elementi può funzionare separatamente. Gli artisti ottico cinetici mettono in funzione un dispositivo (l’opera) che pone in una relazione interattiva l’immagine con lo spettatore. Solo l’occhio dello spettatore suscita e stabilizza l’immagine, all’interno di un movimento virtuale intrinseco.

Questa consapevolezza spinge gli artisti ottico-cinetici ad una incessante sperimentazione con esiti straordinari anche se difformi fra loro, dando risalto a forti e autonome personalità.


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